Storia - Aprile 27, 2020
Cos’è l’acqua gigghiana? Le antiche tradizioni dei nonni
Un tempo, durante l’inverno ogni famiglia siciliana si preparava alla stagione del freddo e delle piogge. Un prodotto molto ricercato era l’acqua gigghiana. Gigghiana, una località? No. Aggettivo ormai desueto e poco ricorrente sia nel dialetto parlato che nell’ambito letterario. Etimologicamente viene dal verbo “gigghiari”, cioè avere freddo. L’acqua piovana veniva raccolta nelle cisterne, spesso […]
Di Regina Betti

Un tempo, durante l’inverno ogni famiglia siciliana si preparava alla stagione del freddo e delle piogge. Un prodotto molto ricercato era l’acqua gigghiana. Gigghiana, una località? No. Aggettivo ormai desueto e poco ricorrente sia nel dialetto parlato che nell’ambito letterario. Etimologicamente viene dal verbo “gigghiari”, cioè avere freddo. L’acqua piovana veniva raccolta nelle cisterne, spesso costruite apposta e usate solo per contenere l’acqua delle piogge che poi diventava acqua gigghiana. Il nesso etimologico sarebbe appunto questo: le piogge sono tipiche dell’inverno, nell’inverno c’è freddo, di conseguenza l’acqua che bagna i nostri tetti è fredda.
Si credeva che l’acqua piovana fosse pura rispetto a quella che vi era nei pozzi o che scorreva dai tubi. In realtà, questa è una credenza popolare smentita qualche anno fa dalla rivista Focus. Secondo gli studi scientifici l’acqua gigghina anon è pura, come si suole credere solo perché cade dal cielo, ma contiene sostanze (come gas, nitriti, nitrati, cloruri e sali di vario genere) le cui quantità variano da località a località. Il punto forte dell’acqua gigghiana è l’assenza di calcare e, probabilmente, per questo motivo, anticamente si credeva che fosse pura.
Poiché non vi sono tracce di calcare, l’acqua gigghiana è impiegata a casa per i più disparati usi,in particolar modo in cucina. Ad esempio era impiegata nella preparazione delle olive cunzate. Le olive che andavano tenute sotto sale erano tenute a mollo nell’acqua gigghiana per una serie di giorni. Sostituire l’acqua casalinga o l’acqua che scorre dai rubinetti dava maggior resa al prodotto finale: le olive verdi in particolare, così, mantenevano il loro colore naturale, senza avvicinarsi minimamente alla tonalità maroncina, tipica delle olive mollicce in fase di deterioramento. Secondo le anziane massaie che ancora oggi si cimentano nell’arte delle olive cunzate è proprio il calcare dell’acqua a conferire al frutto, a lunga andare, quel colore.
Oggi, nell’era postmoderna, pochi raccolgono ancora l’acqua gigghiana. È raro trovare chi la produce, avendo a disposizione lo spazio e l’apparecchiatura necessaria per immaganizzarla. Le cisterne sono di fondamentale importanza e all’epoca erano previste quando si costruivano le case, perché dovevano essere fatte prima di posare il cemento, in quanto sono sotterranee. Solitamente quest’ultimi tendono a venderla a terzi. E non portando avanti le attività dei nostri antenati continuiamo a perdere molte tradizioni, di cui siamo stati i padri fondatori, che ci tengono a stretto contatto con la terra e la natura.
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