Storia - Agosto 23, 2020

La Battaglia di Gela del 12 luglio 1943

La “battaglia di Gela” fu combattuta dai soldati italiani della divisione di fanteria “Livorno” e dai reparti costieri fino alle prime ore del pomeriggio del 12 luglio 1943, come confermato dal Generale Ceci, intervistato dai sigg. Reale Salvatore e Schifani Giovanni, a quel tempo Capitano comandante dell’11^ compagnia fucilieri del III battaglione del 33° reggimento della 4^ divisione “Livorno”, con […]
Di Giuseppe Reina

...

La “battaglia di Gela” fu combattuta dai soldati italiani della divisione di fanteria “Livorno” e dai reparti costieri fino alle prime ore del pomeriggio del 12 luglio 1943, come confermato dal Generale Ceci, intervistato dai sigg. Reale Salvatore e Schifani Giovanni, a quel tempo Capitano comandante dell’11^ compagnia fucilieri del III battaglione del 33° reggimento della 4^ divisione “Livorno”, con l’ordine di difendere ad oltranza il caposaldo fortificato dei monti Zai e dell’Apa.


Questa tesi viene confermata anche dalle annotazioni riportate sul diario del 41° reggimento di fanteria americano. In ordine a queste testimonianze, risulta discordante ciò che viene riportato nella pubblicazione del Santoni A. “Le operazioni in Sicilia e in Calabria (luglio – settembre 1943)”, poiché risulta che la difesa del suddetto caposaldo cessò nelle primissime ore del mattino del 12 luglio 1943.


Il caposaldo dei monti Zai e dell’Apa, fortificato con postazioni p.c.m. (postazioni circolari mono arma), contro carro e postazioni per artiglieria, fu difeso il 12 luglio dalla sola 11^ compagnia del III battaglione del 33° reggimento di fanteria e da qualche reparto costiero, con l’appoggio di pochi pezzi di artiglieria del III gruppo del 28° reggimento di artiglieria “Monviso art. Livorno” dislocati su monte San Nicola, posto a nord/ovest e in posizione dominante rispetto ai monti Zai e dell’Apa.
L’ordine era quello di opporre una resistenza ad oltranza per consentire alle rimanenti forze della divisione italiana “Livorno” di arretrare verso Mazzarino (CL) ed il bivio Gigliotto.

Le forze americane, costituite dal 1° battaglione Ranger, da due compagnie del 41° reggimento di fanteria, dalla compagnia “H” del 67° reggimento corazzato, e dall’83° battaglione mortai, forze preponderanti rispetto a quelle italiane, a cui si aggiungeva la potenza di fuoco dell’artiglieria delle unità navali al largo delle coste ed aeree, ebbero come obiettivo la conquista del caposaldo difeso dai soldati del regio esercito italiano, da realizzarsi all’alba del 12 luglio.
Il fianco sx della forza di attacco era protetto dal 4° btg. Ranger, dislocato ad ovest di Gela.

Lo scopo della forza di attacco era di proteggere le forze che avrebbero dovuto conquistare l’aeroporto di “Ponte Olivo”.

Il movimento di avvicinamento iniziò intorno alla mezzanotte tra l’11 ed il 12 luglio dalla periferia di Gela. Mossero per primi i Rangers, seguiti dal 41° rgt. con le due compagnie, frazionate in plotoni.

Ciascun plotone procedette con un proprio settore operativo, a destra e a sinistra dell’obiettivo, mantenendo lo schieramento molto serrato e disponendo gli uomini distanti non più di due passi gli uni dagli altri, in modo da costituire una colonna su entrambi i lati della strada.

Avvicinandosi verso l’obiettivo i soldati statunitensi incontrarono diversi cadaveri di soldati italiani, appartenenti alla divisione “Livorno”, caduti durante i furiosi combattimenti del giorno precedente.

Le compagnie del 41° rgt. americano, durante l’avvicinamento, intorno alle 05:00, vennero individuate da una mitragliatrice italiana, che facendo fuoco creò lo scompiglio tra i soldati statunitensi, facendoli immediatamente arretrare per poi mettersi al riparo dentro un fossato.

A seguito dell’energica reazione italiana vennero chiamati a intervenire i mortaisti americani, i qualiaprirono fuoco su monte dell’Apa, mentre i carri armati puntarono verso monte Zai in appoggio dei Rangers.

Nel frattempo intervenne anche l’artiglieria italiana del 28° rgt., cercando di contrastare e contenere l’avanzata del nemico, che a sua volta fu costretto a ripiegare sulle linee dei mortaisti intervenuti precedentemente.

Il fuoco ben coordinato dell’artiglieria italiana costrinse i Rangers e i mortaisti ad arretrare ulteriormente.

Nel contempo, a metà mattinata del 12 di luglio 1943, le compagnie del 41° rgt. erano giunte a poche centinaia di metri dai loro obiettivi, mentre i Rangers fornirono all’artiglieria navale americana le coordinate delle postazioni ubicate sul monte Zai, che diventarono bersaglio del fuoco dei cannoni da 6 pollici.

Intorno alle 13:00 fu deciso che le compagnie del 41° rgt. sarebbero state supportate dal fuoco dei mortai, mentre i Rangers sarebbero stati appoggiati dai carri armati, nel caso in cui fosse stato necessario.

Il 41° rgt., avvicinandosi sempre più verso l’obiettivo, innescò la reazione dell’artiglieria italiana, ma il contrattacco dei fanti americani, coperti dal fuoco dei mortai, fu repentino e veloce scattando in avanti.

Questi ultimi, giunti a pochi metri dall’obiettivo, vennero fermati da una mitragliatrice italiana posizionata all’interno di una casa matta.

I soldati americani balzarono in attacco verso la postazione lanciando bombe a mano e alla fine dell’azione vennero catturati i due
militari italiani che si erano battuti con valore e coraggio contro un nemico più numeroso e ben armato.

Uno dei soldati italiani sorreggeva l’altro commilitone ferito e lo aiutava nei movimenti, per poi essere presi entrambi in consegna dai militari statunitensi.

L’obiettivo di monte dell’Apa cadde intorno alle 15:00 del 12 luglio 1943, come riportato dalla relazione americana e dalla testimonianza dell’allora Capitano Ceci (dalle 14:00 alle 15:00), mentre monte Zai cadde per primo, conquistato dai Rangers, i quali in una prima fase credettero di trovarsi di fronte a un intero battaglione, mentre invece si trattava di una sola compagnia e di pochi elementi di reparti costieri.

Fonti: bersaglieriacireale.it

Foto : Copyright MDOC

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Riccardo

Per anni si è creduto, a torto, che lo sbarco alleato in Sicilia avvenne senza colpo ferire, se non addirittura sorretto dalla pavidità dei militari italiani preposti alla difesa del territorio. Probabilmente, sull'apposizione di un velo di oblio sul reale svolgimento dei fatti, ha pesato una certa captatio benevolentiae nei confronti di chi aveva vinto e contribuito a liberare il paese e, soprattutto, sorretto economicamente la fase di ricostruzione post bellica in Italia. Come hanno invece dimostrato le testimonianze, furono molti i soldati italiani che, fedeli alle consegne, onorarono il compito di difendere la propria Patria da quella che, volenti o nolenti, era un'invasione militare straniera. Lo fecero pur consapevoli dell'inferiorità numerica e di mezzi. Così come è oramai assodato che la conquista della Sicilia da parte degli angloamericani, se da un lato costituì il primo passo per la liberazione dal nazifascismo, dall'altro non fu scevra da gesti riprovevoli. Come gli atti di giustizia sommaria (l'eccidio di Biscari), di violenza sui civili (come a Capizzi) e di bombardamenti che non risparmiarono il patrimonio culturale e artistico dell'isola. Un oblio che, in maniera quasi assurda, investe anche i luoghi delle battaglie, dove tutt'oggi non solo non vi sono annuali commemorazioni che ricordino il sacrificio dei numerosi caduti e dispersi, ma non esistono nemmeno musei e le targhe commemorative sono rare ed esposte in maniera timida, , quasi fosse una vergogna, con un atteggiamento del tutto differente da quello che si può respirare, per esempio, in Normandia. Ben vengano, quindi,articoli come questo che aiutano a esercitare e mantenere viva la memoria del nostro passato.

4 Settembre 2020 alle 10:22