Cultura - Maggio 20, 2022
LA NOVELLA NEDDA DI VERGA E LE CHIUSE DA DISSODARE A BONGIARDO
Uno dei nostri nuovi ufficiali della Polizia Locale di Mascalucia, il sig. Orazio Giovanni Vecchio, davvero interessato alla nostra lodevole opera di recupero del patrimonio artistico e culturale di Mascalucia, in occasione del centenario di Giovanni Verga di cui stiamo parlando negli ultimi tempi, con crescente interesse, ci ha mandato un interessante saggio scritto dal […]
Di Giuseppe Reina

Uno dei nostri nuovi ufficiali della Polizia Locale di Mascalucia, il sig. Orazio Giovanni Vecchio, davvero interessato alla nostra lodevole opera di recupero del patrimonio artistico e culturale di Mascalucia, in occasione del centenario di Giovanni Verga di cui stiamo parlando negli ultimi tempi, con crescente interesse, ci ha mandato un interessante saggio scritto dal padre, Giovanni Vecchio, che identifica esattamente una location della novella NEDDA, in un ben identificato contesto: la contrada Bongiardo in quel di Zafferana Etnea e successivamente Santa Venerina.
Lo studio è documentato con dovizia di notizie, foto e bibliografia.
A noi cultori non resta che apprezzarlo, convinti di aver aggiunto un ulteriore tassello alla grande epopea verghiana.
“Giovanni Verga scrive la novella Nedda nel 1874 e la pubblica sulla Rivista italiana di scienze, lettere e artis.
Nello stesso anno comparve in volume (editore Brigola) con il sottotitolo “bozzetto siciliano” e da allora la novella ebbe una notevole fortuna editoriale.
Com’è noto, Nedda narra la storia miserabile di una povera donna, denominata “a varannisa” perché originaria di Viagrande, ma residente a Ravanusa, che si trova ad affrontare miseria e disgrazie tanto da preferire la morte a quella vita stentata e difficile.
Per la prima volta il Verga si cimenta con il mondo contadino e mette in primo piano gli “ultimi”. La svolta rispetto alla produzione precedente tardo-romantica e borghese è evidente e c’è una chiara indicazione di un nuovo percorso letterario che troverà compimento nelle successive novelle e soprattutto nei capolavori del verismo “I Malavoglia e Mastro Don Gesualdo”.
In “Nedda”, Verga si sofferma nella parte iniziale su riflessioni al caminetto che fanno da preludio al racconto delle tristi vicende della protagonista e osserva spesso in modo non distaccato le vicende narrate, come invece avverrà dopo.
Fin qui nulla di nuovo rispetto a quanto risaputo.
Vogliamo stavolta soffermarci invece su un riferimento, indicato per ben quattro volte nella novella, a Bongiardo, una località nell’Ottocento appartenente al Comune di Zafferana Etnea e dal 1936 al Comune di Santa Venerina.

Per comodità del lettore riportiamo i brani:
–E adesso dove andrai a lavorare? – gli domandò dopo qualche secondo. Egli alzò le spalle: – Dove andrai tu domani! A Bongiardo.
–Ohé! Janu! – chiamò dalla strada lo zio Giovanni. – Vengo! – gridò Janu; e alla Nedda: – Verrò anch’io a Bongiardo, se mi vogliono.
-L’indomani, prima di giorno, quand’ella si affaccio all’uscio per partire, trovò Janu, col suo fagotto infilato al bastone. – O dove vai? – gli domandò. – Vengo anch’io a Bongiardo a cercar lavoro.
A Bongiardo c’era proprio del lavoro per chi ne voleva.

Il prezzo del vino era salito, e un ricco proprietario faceva dissodare un gran tratto di chiuse da mettere a vigneti.
Le ‘chiuse’ rendevano 1200 lire all’anno in lupini ed olio, messe a vigneto avrebbero dato, fra cinque anni, 12 o 13 mila lire, impiegandovene soli 10 o 12 mila; il taglio degli olivi avrebbe coperto metà della spesa.
Era un’eccellente speculazione, come si vede, e il proprietario pagava, di buon grado, una gran giornata ai contadini che lavoravano al dissodamento, 30 soldi agli uomini e 20 alle donne, senza minestra; è vero che il lavoro era un po’ faticoso, e che ci rimettevano anche quei pochi cenci che formavano il vestito dei giorni di lavoro; ma Nedda non era abituata a guadagnar 20 soldi tutti i giorni.
Verga conosceva bene il territorio etneo, che descrive con grande precisione nelle sue opere ispirate alla poetica verista.
Ben sapeva che dal ‘700 in poi in queste aree «il vigneto scalza boschi e pascoli, si impossessa dei terreni ‘scapoli’ e risale le pendici delle colline e della montagna fin dove le condizioni climatiche lo permettono…
Incalzato dalla vigna, il bosco, confinato nelle parti più elevate, non riesce a sfuggire alla continua domanda di legname per costruzioni e fortificazioni.
Privati e autorità pubbliche procedono continuamente e spesso disordinatamente a tagliare alberi per i loro bisogni».
Il Bosco di Aci con gli indiscriminati tagli di alberi già intorno al 1820 poteva dirsi scomparso, salvo brevi tratti a Pisano e a Bongiardo.
I nuovi proprietari, prevalentemente acesi, che avevano ottenuto quelle terre a condizioni favorevoli dal Segreto, a gabella o a censo perpetuo, le recintarono dissodandole e impiantando il vigneto.
Pertanto per tutto il secolo XVII e XVIII si insediarono in questi luoghi diversi nuclei familiari, che costituiranno in seguito le borgate dell’epoca e i centri urbani di oggi.
La popolazione locale che abitava nel Bosco perse dunque il diritto di pascere, di raccogliere la legna e la frutta.
La trasformazione del territorio fu inarrestabile e il commercio del vino, che fruttava
abbastanza, favoriva il dissodamento dei terreni anche di quelli “lavici” con lo “spietramento” e la costruzione di terrazzamenti con muri “a crudo”, una vera e propria arte.
Infatti bisogna “ad occhio” selezionare i sassi e poi collocarli uno sull’altro in modo da farli combaciare e resistere agli eventi naturali.
Il terrazzamento era costoso, ma il gioco valeva la candela, come giustamente osserva il Verga nella novella.
La zona di Bongiardo era considerata favorevole anche perché c’era e c’è una sorgente d’acqua cristallina, fonte di vita per la popolazione locale, appunto per questo motivo ancora oggi la via è denominata “Acqua Bongiardo”.
Giuseppe Recupero, nel primo volume della Storia naturale e generale dell’Etna del 1815 cosi scrive: <<Sopra il Villaggio di Bongiardo sgorga un’acqua molto limpida e copiosa, quantunque non fosse stata mai tentata da mano industre la sua vena per tirarne maggior copia… Il destino di quella bellissima fontana è solamente per dissetarsi gli abitanti di quei contorni ed il loro bestiame, lasciando perdere tutto il di più nel vicino vallone… Circa la purezza dell’acqua posso dire di aver minutamente visitato tutto il canale, senza avere scoperto un segno certo di materia estranea, o sia bitume deposto nell’acqua, come l’ho veduto quasi in tutte le altre sorgenti.>>
Da una attenta ricognizione dei luoghi indicati, i terreni ai quali fa riferimento il Verga si trovano proprio salendo da Santa Venerina, attraverso la via Acqua Bongiardo, verso Zafferana Etnea.
All’altezza della proprietà degli eredi dell’ex Sindaco di Santa Venerina, Salvatore Russo, c’è una stradina con, all’angolo, un altarino dedicato alla Vergine Maria con il Bambino Gesù.
Salendo si vede a destra ancora tutto il terrazzamento effettuato nell’Ottocento per impiantarvi il vigneto. Attualmente però quel terreno è adibito a pascolo e in alto c’è una vecchia fattoria diroccata. A sinistra, invece, nell’ex proprietà Russo, è stato da recente ripristinato il vigneto.
Comunque, dai dati del catasto del 1844 si ricava che la zona tra l’ex Bosco di Aci e la Contea di Mascali (proprio la nostra) era coltivata a vigneto in una proporzione che non ha riscontro altrove nell’isola»…
È a partire dal 1806, con l’arrivo degli inglesi, che il commercio registra un’improvvisa accelerazione che ne muta dimensioni e caratteristiche.
Gli inglesi infatti si rivolsero sempre più al mercato siciliano per il rifornimento delle truppe e della flotta dislocata nel Mediterraneo.
Messina, dove parte della flotta stazionava, divenne meta costante delle imbarcazioni ripostesi. I prezzi del vino si impennano, il commercio subisce un impulso notevole…
È un periodo di euforia, destinato a durare poco. Già nel 1812 i prezzi cominciano a flettere. Ed è nella nuova difficile congiuntura che il commercio ripostese muta nuovamente aspetto. Sono ora gli stessi ripostesi ad assumersi il compito del trasporto via mare, il cui costo, in parallelo con il calo dei prezzi del vino, è diminuito. Da qui l’emergere e l’affermarsi del porto di Riposto per la spedizione del vino e per il trasporto in proprio soprattutto a Malta e in Gran Bretagna.
Il verismo del Verga si manifesta dunque sin da questa prima opera del nuovo ciclo nell’attenzione al territorio, alla sua economia e alla vita povera e sfortunata della popolazione contadina dell’epoca.”

BIBLIOGRAFIA
E. LACHELLO, Il vino e il mare, Catania, Maimone Editore 1997 (II ed.), pp. 32-41.
G. RECUPERO, Storia naturale e generale dell’Etna (1815), Catania, Dafni 1983 (rist. anast.), p. 142.
E.LACHELLO, Il vino e il mare, cit., pp.121-122.
Giuseppe Reina
Editor Mascalucia DOC
Commenti