Approfondimenti - Agosto 2, 2023

La Resistenza etnea: le quattro ore di Mascalucia del 3 agosto 1943.

Grazie ad una preziosa collaborazione con il mensile di cultura Brevis edito da Gaeditore che ha dedicato un volume all’ottantesimo anniversario dello Sbarco degli Alleati, ho potuto raccontare la storia della Resistenza al Nazifascismo vissuta a Mascalucia il 3 agosto 1943. Di seguito il testo pubblicato su Brevis proprio nell’agosto di quest’anno. Il 12 novembre […]
Di Francesca Calí

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Grazie ad una preziosa collaborazione con il mensile di cultura Brevis edito da Gaeditore che ha dedicato un volume all’ottantesimo anniversario dello Sbarco degli Alleati, ho potuto raccontare la storia della Resistenza al Nazifascismo vissuta a Mascalucia il 3 agosto 1943. Di seguito il testo pubblicato su Brevis proprio nell’agosto di quest’anno.

Il 12 novembre 2022 il Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella, rappresentato al Teatro Massimo Bellini dal prefetto d.ssa Maria Carmela Librizzi, ha conferito al Comune di Mascalucia la Medaglia d’argento al Merito Civile per essere stato il primo comune in tutta Europa ad insorgere contro i soldati tedeschi seguito dai comuni di Pedara, Tremestieri Etneo, Nicolosi, Belpasso e Valverde ai quali è stata assegnata la Medaglia di Bronzo.  Questa presa di coscienza, a quasi ottant’anni dalla Resistenza del 1943, è scaturita dalla proposta fatta nel 2012 dal coordinatore del Comitato per il riconoscimento della Resistenza Etnea Nicola Musumarra per gli atti di abnegazione dimostrati dalla cittadinanza durante il secondo conflitto mondiale, proposta accolta il 20/04/2022 giusto dieci anni dopo la sua formulazione.  Fino ad un decennio fa la storia aveva tenuto lontano i siciliani dai fatti della Resistenza, ma grazie ad un nuovo filone di ricerche sono stati sviscerati degli eventi avvenuti nell’estate del 1943 che hanno reso protagonista la Sicilia nella battaglia per la libertà. Mentre l’8 settembre si firmava l’armistizio, la Sicilia aveva già provveduto da sé a liberarsi del nemico tedesco grazie all’insurrezione dei contadini e della popolazione dei vari paesi che, stanca di restare a guardare, decise di prendere in mano le armi e combattere senza ordini, senza indicazioni, senza un comando perché la situazione era precipitata nel giro di pochi giorni ritrovandosi, improvvisamente, con gli alleati tedeschi diventati il nuovo nemico da affrontare. Qualche settimana prima di questi eventi, tra il 9 e 10 luglio 1943, aveva avuto inizio l’operazione Husky guidata dal Generale Dwight Eisenhower con la quale gli Alleati speravano di colpire l’Asse nel suo “ventre molle” (cit. Winston Churchill). Complessa operazione che vide, nella zona tra Pachino e Siracusa e anche tra Gela e Scoglitti, lo sbarco di circa 250.000 soldati americani arrivati nelle coste siciliane a bordo di migliaia di navi da guerra che, nel giro di pochi giorni, giunsero indisturbati a Palermo prendendone possesso. Nella Piana di Catania, invece, si concentrarono i parà inglesi che videro nel ponte Primosole la chiave per entrare nella città di Catania. Un’operazione colossale che costrinse i soldati tedeschi ad una rapida ritirata. L’ordine perentorio era di lasciare l’isola entro un mese e di raggiungere lo Stretto di Messina con qualsiasi mezzo eliminando ogni tipo d’impedimento si presentasse sulla loro strada. Questa folle ritirata trasformò i tedeschi da alleati a nemico perché si resero colpevoli di furti, stupri, violenze gratuite ed efferati assassinii. Furono questi i motivi, prima ancor dell’amor patrio, a scatenare le popolazioni etnee contro i tedeschi in quella che viene definita la prima scintilla della resistenza dell’intera Europa.

Fino al 3 agosto 1943, Mascalucia aveva assistito inerme alla guerra ospitando oltre 5.000 sfollati provenienti da Catania. Considerata oasi di pace, aveva solo due postazioni del Genio a guardia di due fari posti uno a nord e l’altro a sud del paese ed in dotazione una moto Gilera 500 utilizzata dai pochi soldati presenti. Quel giorno, circa 2.000 soldati tedeschi in ritirata provarono a raggiungere Trecastagni passando da Belpasso, Nicolosi e Pedara per aggirare l’Etna dal lato opposto al nemico inglese, ma giunti nel quartiere Borrello (Belpasso) trovarono uno sbarramento anticarro costruito per arginare l’avanzata inglese ma che, paradossalmente, adesso metteva loro in difficoltà. Di conseguenza, furono costretti a deviare da Tremestieri Etneo e Mascalucia e al loro passaggio cominciarono le famose “Quattro Ore” di scontro a fuoco durante la quale persero la vita alcuni soldati italiani e una decina di soldati tedeschi. A far scattare la scintilla della ribellione non fu tanto la rabbia accumulata dalla popolazione che da diverse settimane era senza acqua a causa del bombardamento dell’acquedotto Bosco-Etneo e senza di viveri perché a Catania il porto era sotto assedio, ma fu la prepotenza dei tedeschi che pretendevano di sequestrare mezzi di trasporto privati come motorette, muli,  cavalli, i pochi viveri rimasti, e soprattutto le armi poiché erano a conoscenza che a Mascalucia si erano rifugiati i membri della famiglia Amato, celebri armatori catanesi. 

In una testimonianza del 1° luglio 1976, al programma Rai “I Vespri del ’43”, il mascaluciese Andrea Consoli raccontò: “L’eco dell’episodio, ingrandito dalla fantasia di noi ragazzi, passò di bocca in bocca infondendo nuovo coraggio fra i cittadini. E così, animati dall’esempio di quel nostro soldato, noi ragazzi e qualche giovane, dopo aver abbozzato un piano temerario, ci dirigemmo verso il deposito d’armi che sapevamo essere sito in un piccolo uliveto dove adesso all’entrata del paese, per chi proviene da Tremestieri Etneo, si trova uno slargo con un distributore di benzina. C’erano due sentinelle di guardia, ma saltando muri e strisciando sul terreno riuscimmo ad immetterci nell’uliveto, portando via fucili e bombe a mano. I nostri vecchi, alla vista delle armi, mostrarono segni di costernazione, soprattutto le donne, mentre noi ragazzi eravamo fieri di aver compiuto un gesto eroico. In effetti, avevamo realizzato in anteprima un’azione di guerriglia partigiana”. Ma nello specifico: a quale episodio si riferisce il Consoli?  Nelle prime ore del mattino, un gruppo di soldati tedeschi aveva scorto una camionetta ferma davanti il vico Lombardo (stradina che s’imbocca da via Etnea tra la Chiesa di San Vito e la Chiesa Madre) decidendo di rubarla, ma il proprietario prudentemente aveva staccato la batteria. Mentre i tedeschi si affaccendavano per farla partire, intervenne un soldato italiano in sella alla motocicletta minacciandoli di aprire fuoco se non avessero lasciato il mezzo: il militare si chiamava Francesco Wagner, l’eroe di Mascalucia.

Francesco Wagner

I tedeschi, presi alle spalle non poterono far altro che andare via promettendo vendetta. Infatti, poco dopo Francesco fu sorpreso mentre si trovava fermo vicino al marciapiede con la sua motocicletta e fu costretto a cederla ai tedeschi. Un gesto che fu considerato l’ennesimo, imperdonabile, affronto e la definitiva rottura di tutti i rapporti di alleanza tra soldati italiani e tedeschi. La risposta non si fece attendere e quello che oggi viene considerato un eroe martire, andò all’inseguimento del soldato tedesco che gli aveva sottratto la moto. Lo trovò fermo accanto ad un furgone carico di militari germanici, e pur essendo in netta minoranza senza nessun timore gli puntò contro il moschetto. I soldati tedeschi tentarono una forma di reazione correndo verso chi li stava minacciando, ma in un attimo Francesco infilò la mano in tasca, tirò fuori una bomba a mano e mise la linguetta tra i denti pronta a tirarla. I tedeschi rimasero ammutoliti di fronte a tanto coraggio e andarono via lasciando la moto al soldato mantovano di soli 22 anni.

Atto eroico a parte, purtroppo Francesco Wagner morirà lo stesso giorno colpito a morte alle spalle da un tedesco che aveva catturato in quelle concitate quattro ore di scontri a fuoco dalle 14.00 alle 18.00 circa.

Nello stesso momento, da un’altra parte del paese, i soldati tedeschi si recarono a Villa Amato per trafugarne le armi. Mentre cercavano di forzare il cancello, il padrone di casa, l’armatore Giovanni Amato, si affacciò nel tentativo di trattare ma costoro aprirono il fuoco fucilandolo a vista. Morirà poco dopo durante la corsa all’ospedale di Catania. Secondo la relazione dei Carabinieri, quel giorno i tedeschi erano accorsi a Villa Amato sia per le armi, sia per abusare delle tre ragazze della famiglia di 20, 22 e 25 anni conosciute per la loro beltà ed eleganza. Gli altri uomini della famiglia, Vito fratello di Giovanni, suo figlio anch’egli chiamato Giovanni come lo zio e il massaro Don Alfio impugnarono le armi difendendo tenacemente la villa. In quello scontro morirono un numero imprecisato di soldati tedeschi i cui cadaveri furono subito occultati per evitare ritorsioni.

Giovanni Amato Aloisio

La notizia della morte di Giovanni Amato e del giovane Francesco Wagner fece adirare ancor di più i mascaluciesi che spararono a qualsiasi soldato tedesco si presentasse davanti ai loro occhi, la rabbia e lo sgomento prevaricarono sulla lucidità e sul buon senso. Si sparò dai tetti della chiesa Madre, da quelli della chiesa di San Vito e dal terrazzo di Villa Cirelli (conosciuta anche come Villa Maria) e alle porte del paese venne posizionata una mitragliatrice. Nel pomeriggio, alcuni militari italiani dovettero intervenire contro un soldato tedesco che, introducendosi dentro Villa Savarese, molestò una donna e tentò anche di rubare una bicicletta.

Durante la colluttazione, rimase gravemente ferito il soldato Giuseppe La Marra che morirà in un ospedale da campo a Fornazzo (Milo), un eroe che purtroppo non ebbe degna sepoltura. Il suo corpo probabilmente giace insieme a quello di altri sventurati morti in guerra.

Alle 21 il paese sprofondò in un silenzio surreale, una forma di tacita tregua era stata stabilita per permettere ai tedeschi di recuperare i loro morti e ai mascaluciesi di curare i loro feriti, ma un carro armato teutonico, con a bordo un ufficiale tedesco, giunse alla caserma dei carabinieri. Infatti, in breve tempo si era sparsa la voce della rivolta mascaluciese ed adesso l’ufficiale tedesco pretendeva vendetta per i suoi commilitoni uccisi durante la rivolta. Davanti al Podestà Francesco Consoli, al comandante dei vigili Orazio Zsamkò e al comandante dei Carabinieri Francesco Gringeri, ordinò che venissero catturati ed uccisi 100 mascaluciesi. E mentre la discussione si faceva sempre più animata, il vigile militarizzato Tommaso Nicolosi disarmò l’ufficiale e gli puntò contro l’arma. Con inglesi alle porte e una pistola puntata alla tempia, l’ufficiale non poté far altro che arrendersi e lasciare il paese in fretta, mentre sui tetti delle case c’erano ancora nascosti diversi italiani armati e pronti ad aprire fuoco.

Il primo Alleato a mettere piede a Mascalucia il 7 agosto 1943 fu un canadese a bordo di una motocicletta. Lo sfortunato fu intercettato dall’ultimo tedesco della retroguardia presente in paese che lo uccise, rubò il mezzo e scappò via incurante del compito di far brillare le mine poste su via Roma e via Polveriera all’arrivo degli inglesi. Saranno poi loro a disinnescare tutti gli ordigni sparsi per il paese mettendo fuori pericolo la popolazione. Oggi è ancora possibile constatare le “ferite di guerra”, breve ma intensa, di Mascalucia.

Tracce concrete che non hanno bisogno di fonti sono le tre postazioni belliche di vedetta che si trovano a Massannunziata-Mompileri, dentro e fuori il Santuario della Madonna della Sciara, poste lì oggi come monito di pace e per ricordare che la Sicilia non mancò di dare il suo contributo alla resistenza nazionale che fu la base del futuro assetto civile, politico e costituzionale italiano.

Fonti:

-La resistenza italiana in Sicilia. I martiri e gli eroi di Mascalucia e Pedara di Nicola Musumarra;

-Primosole, quel ponte sul fiume Simeto di Umberto Lugnan.

La foto in evidenza è di proprietà della collezione del Maggiore inglese Wilfred Herbert James Sale

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