Storie di Mascalucia - Gennaio 19, 2022

Storie di Mascalucia : Quei ragazzini terribili…!

"Donato" ERA IL BULLO, nel senso più vero del termine!
Di Giuseppe Reina

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“Donato”.

Userò questo nome di fantasia che corrisponde ad una persona realmente esistita e vivente per raccontarvi una storia mascaluciota.

Probabilmente questo nome non dirà nulla a moltissimi di Voi, ma chi è della mia generazione, penso ricorderà bene il nostro carissimo amico di gioventù: “Donato”.

Per puro caso, mi sono imbattuto in una sua foto qualche anno fa, l’ho subito riconosciuto e sono affiorati i ricordi.

Prima di raccontarvi di lui, è bene premettere e circoscrivere il concetto di “bullismo”!

Chi è il bullo? E’ colui che vessa i più deboli, fisicamente ed anche psicologicamente, che fa branco ed avvalendosi della forza del branco, esercita un’azione di sopraffazione sugli altri.

E’ bene anche contestualizzare nel tempo, il concetto di bullismo per evitare fastidiosi fraintendimenti e equivoci, ma soprattutto non banalizzare.

Oggi chiamiamo bullismo, tutta una serie di comportamenti atti a denigrare, umiliare e torturare psicologicamente una persona. Una volta, neanche sapevamo cos’era il bullismo, esisteva, era latente, ma probabilmente gli strumenti per difenderci messi a nostra disposizione erano diversi. Strumenti acquisiti sulla “strada” in cui giocavamo tutti i giorni, fortificati da un senso maggiore di consapevolezza e ribellione alle angherie, ma soprattutto perché i “bulli” di ieri non erano nemmeno e lontanamente paragonabili a quelli di oggi.

Il bullo di ieri usava solo le mani e per quanto ciò possa apparire violento, nessuno si lamentava mai di qualche scoppola ricevuta e restituita!

“Donato” ERA UN BULLO, nel senso più vero del termine!

Faceva comunella con altri dodicenni, usando la spavalderia e la forza per acquisire carisma, ma era una bestia dal punto di vista fisico!

Era cattivo al punto giusto, arrogante, prepotente, “ammaliscu”, ” mastinu”, “armali”, “nsuttanti”.

Fisicamente ricordava il padre che, invece, era un uomo buonissimo, originario della Campania, ma con un fisico quadrato e muscolarmente incredibile.

“Donato” aveva preso tutto da lui, ma vuoi per l’età adolescenziale, vuoi per quell’innata superbia che ti deriva nel momento in cui da bambino diventi adolescente e le tempeste ormonali la fanno da padrone, lui era un prepotente nato.

Era un provocatore, t’insultava, ti metteva spalle al muro. Altro che molestie e violenze, “i coppa jerunu a fetiri” anche per un nonnulla, solo per il sadico gusto della prevaricazione.

Oggi accorrerebbero orde di genitori indignati, post sui social, denunce ai carabinieri, pianti in diretta LIVE.

All’epoca anni ’70 scuola media di Mascalucia, “ti sucavi a cucuzza”, tornavi a casa pestato a sangue, ma non proferivi manco una parola sul chi era stato e sul motivo, perché “Donato” poi te la faceva pagare e anche perché “l’amico” non si tradisce mai.

Tranne fargliela pagare il prima possibile!

Si, magari leggere certe cose oggi stupisce, ma esisteva questa strana legge non scritta, questa consuetudine d’onore sottintesa tra i ragazzi. L’amicizia era intesa così, i panni sporchi si lavano in casa, a scuola, per strada. Amicizia era condivisione del quotidiano con i tuoi compagni di scuola e di gioco e “Donato”, volente o nolente, era parte integrante del nostro quotidiano.

E nei rari momenti di insana follia, era anche un amico, un tuo amico, anche se non te lo saresti mai aspettato da lui!

Che adolescenza noiosa sarebbe stata senza “Donato”! A volte, me lo chiedo.

Le risse erano quotidiane, perché se “Donato” era uno che fisicamente t’ammazzava, nessuno si era mai tirato indietro nel fare a botte. Manate, spinte, qualche sputo, poi prima che il tutto degenerasse, avveniva la “separazione”, qualcuno si metteva in mezzo e si “faceva la pace”.

Per ricominciare cinque minuti dopo, dopo l’ennesima frase o scusa banale.

Giocare a calcio con “Donato” era una ricerca del massacro.

Definire calcio, un’orda di ragazzini polverosi che urlavano dietro ad un pallone, dove l’unica tattica possibile, era tirare più calci che si poteva agli stinchi dell’avversario, è ovviamente un paradosso. Il pallone non si vedeva mai perché si confondeva in orribili mischie di carne umana mista a sangue e non riusciva a venire fuori.

Pensate al rugby: avete presente quando si fanno le mischie ed il tallonatore introduce il pallone all’interno? Ecco, questo è quello che avveniva per rendere l’idea, solo che anziché usare le mani, si usavano i piedi.

In queste interminabili partite di calcio , penso di aver lasciato almeno una decina di paia di occhiali rotti, qualche “litrata” di sangue ed un mezzo chilo di pelle volata via.

Era “calcio storico fiorentino”, mica miciomicio baubau!

Mai una parola o un lamento a casa, nessuno che s’incazzava, nessuno che prometteva vendetta, tutto finiva lì, su quel campo di calcio.

Nei miei ricordi, affiora un aneddoto legato a “Donato” ed al campetto storico che c’era sopra il Circolo Bob Kennedy. In questo mitico spazio in cui si sono consumati leggendari ed epici scontri intorno ad un pallone, a circa metà del campetto fuoriusciva una protuberanza di pietra che invadeva il campo per circa un quarto.

Era una pertinenza della Chiesa di San Vito, probabilmente facente parte dell’abside. Quando si giocava nelle sue vicinanze, si doveva prestare attenzione a non sbatterci violentemente con il rischio di farsi male davvero.

Vallo a spiegare a “Donato” che era “urvulu” di suo e quando giocava a pallone , non capiva più nulla.

Una volta, partì palla al piede, passando velocissimo vicino allo spuntone di pietra, tira e fa gol.

Vedemmo lo spuntone di pietra a terra, staccato dalla parete e “Donato” sanguinante in viso, che gioiva e esultava.

Aveva sbattuto e staccato la pietra sbattendoci con la testa.

Fuggi-fuggi generale , fu subito portato in ospedale, mentre la partita ricominciò, dopo alcuni minuti d’imbarazzo, con la stessa soluzione di continuità come se non fosse successo nulla d’importante.

Uno potrebbe pensare “Chissà poverino, come si sarà fatto male, magari per qualche giorno non lo vediamo!”

Dopo un paio d’ore, “Donato” trionfante si ripresenta al campetto, cinque punti in testa, turbante di garza e riprende a giocare , senza proferire una sola parola.

Questo era “Donato”, burbero, bulletto da quattro soldi, ma tenace, impavido!

Oggigiorno, tutto ciò sarebbe improponibile per i nostri giovani che giocano le stesse interminabili partite seduti davanti alla…Playstation!

Le nostre erano poesie sportive , liriche calcistiche, vere e gladiatorie battaglie non virtuali!

Ma il punto più “alto” e “nobile” della partita era sempre all’inizio.

Nessuna partita poteva iniziare senza il rito della “salata”.

Starvi a spiegare cos’era la “salata”, mi risulta oltremodo difficile sia da raccontare, sia da far comprendere, ammesso e concesso che riusciate a non schifarvi.

La “salata” era una specie di rito a metà tra il barbarico e l’orrido, in cui un malcapitato scelto a casaccio, veniva inseguito dal branco “divertito”, catturato, buttato a terra, dopodiché denudato delle mutande con i genitali ben visibili su cui si adagiava con una “delicatezza” alla “Donato”, manciate di sale, fino a fartelo “abbampare”.

Penso di non dover andare oltre nella spiegazione.

C’erano le varianti con l’uso della terra o del dentifricio magari farcito con le ortiche che crescevano rigogliose nei paraggi.

Tutti siamo passati per l’iniziazione della “salata” prima o poi, compreso anche “Donato” che, nonostante fosse bello grosso, nulla poteva quando una decina d’invasati, gli si catapultava addosso.

Vedo che già qualcuno inorridisce, si allarma, magari non sa dare una spiegazione valida, razionale a questo rito certamente inconsueto e volgare.

A noi non importava nulla, eravamo ragazzini di dodici tredici anni, semplici, stupidi, che ci divertivamo con quel poco che offriva la Mascalucia del tempo.

Il disgraziato che aveva subito la “salata” non piangeva, non scappava via, non chiedeva vendetta.

Si rialzava, cercava di ripulirsi alla bell’è meglio e tutto inzaccherato, restava lì per la partite , ridendo insieme a tutti gli altri.

Il richiamo del pallone era decisamente troppo grande per ragazzini di quell’età che nulla avevano da chiedere alla vita , tranne che un pallone e un luogo dove giocare.

Figuriamoci se una “salata” poteva essere ritenuta un atto di bullismo!

Anche “Donato” aveva però il suo punto “debole” : si chiamava Nuccio, un armadio a quattro ante ancora più grosso di lui.

Solo che Nuccio era un buono, era per le cose giuste, non amava le soperchierie di “Donato” e di certo non gliene mandava a dire.

“Donato” lo vedeva come un rivale al suo prestigio di bulletto paesano, ma in fondo di Nuccio aveva timore. Provò a provocarlo qualche volta, perché erano nella stessa classe.

All’ennesima provocazione, vennero alle mani e “Donato” le prese di brutto, con grande e lussuriosa soddisfazione di tutti.

Dopo la terza media, “Donato” lasciò la Sicilia e non l’ho più rivisto.

Oggi ha 59 anni e, per quanto ne so, fa l’agente di commercio.

Non ha mai chiesto scusa a nessuno per le sue angherie, ma sono io a doverlo ringraziare perché “Donato” ci ha fatto comprendere che la gioventù non è solo rose e fiori, ma è anche scontro continuo, talvolta purtroppo violento, devastante, ma è confronto acceso che ti fa crescere, maturare , fortificare.

“Donato” era un ragazzo come tutti noi, un po’ esuberante , ma nulla di più .

Nella sua giovanile smania d’imporsi, qualche volta esagerava, ma noi che lo conoscevamo non ci facevamo caso.

Ciao “Donato”, dovunque tu sia e cosa tu stia facendo in questo momento, grazie sempre.


Giuseppe ReinaEditor

Mascalucia DOC

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