Approfondimenti - Settembre 8, 2021
Il mistero della morte di Nino Martoglio raccontata da Lucio Sciacca
Nel #Centenario della morte del poliedrico scrittore belpassese Nino Martoglio, Mascalucia Doc vuole riportarvi indietro negli anni ’90 quando il giornalista catanese Lucio Sciacca, dopo accurate ricerche, pubblica nel suo libro “Catania anni venti”, una presunta ricostruzione della tragica morte del poeta, ancora oggi avvolta nel mistero. “La notizia si diffuse come un lampo a […]
Di Francesca Calí

Nel #Centenario della morte del poliedrico scrittore belpassese Nino Martoglio, Mascalucia Doc vuole riportarvi indietro negli anni ’90 quando il giornalista catanese Lucio Sciacca, dopo accurate ricerche, pubblica nel suo libro “Catania anni venti”, una presunta ricostruzione della tragica morte del poeta, ancora oggi avvolta nel mistero.
“La notizia si diffuse come un lampo a ciel sereno nel pomeriggio del 16 settembre 1921, e sulle prime apparve assurda, incredibile. Nessuno se l’aspettava. -E’ morto Nino Martoglio. -Possibile? -Il cantore dell’anima popolare catanese, sano, vegeto, sulla breccia fino a ieri, morto così, tutto d’un tratto? -Una gran disgrazia, una morte accidentale, orribile! si disse. E i come? quando? dove? passarono concitati di bocca in bocca, si confusero con le lacrime della gente, si accavallarono come onde in tempesta.
Nino aveva da poco compiuto i cinquant’anni, essendo nato a Belpasso nel 1870. Ma era catanese d’adozione, a Catania avendo studiato (si era diplomato alla sezione capitani marittimi dell’Ist. Nautico) e maturato, a Catania avendo esordito nel giornalismo, prodotto le sue opere poetiche e teatrali, diretto il settimanale D’Artagnan, ideato, scritto, impaginato da lui medesimo. Tutti, dunque, lo ritenevano catanese. Lo attesta La Centona, lo attestano I civitoti in pretura, Nica, San Giovanni Decollato e L’aria del continente.
Negli ultimi tempi, i suoi impegni di lavoro l’avevano portato a Milano e poi a Roma ma a Catania tornava spesso perchè non poteva fare a meno di respirare aria nativa. A Catania era stato visto nell’estate di quell’anno anche se villeggiava a Giardini. A settembre la tragica sventura. Marco, il figlio tredicenne di Nino, si ammalò di una febbre infettiva che costrinse il poeta a ricoverarlo all’ospedale Vittorio Emanuele di Catania. Gli venne assegnata una camera nel padiglione Costanza Gravina (in parte ancora in costruzione), adibito alla pediatria, dove Martoglio entrò nel pomeriggio del 15 settembre e dove restò fino a sera inoltrata. Poi, avendo delle incombenze da sbrigare, promise alla moglie e al figlio di tornare quanto prima e uscì dalla stanza. Si fece mezzanotte e Nino non tornava. Figurarsi l’ansia della povera signora. A chi chiedere? Dove andare? col piccolo febbricitante!
Sul far del mezzogiorno, alcuni amici con pietosa menzogna le facevano sapere che il marito, recatosi a Taormina per affari, era stato sorpreso da un improvviso febbrone che gli impediva di rientrare a Catania. E, invece, il cadavere del povero Nino era a due passi dall’ignara moglie, con la testa sfracellata!
Ma vediamo cos’era accaduto, secondo la ricostruzione fatta dalla polizia che s’interessò del caso. Il piccolo Martoglio era stato ricoverato nel padiglione Costanza Gravina non del tutto finito. In una stanza si lavorava per installare un piccolo ascensore per trasportare i bambini, e a tal uopo si era praticata una botola nel pavimento della larghezza di circa un metro quadrato. Si pensa che lo scrittore, avviandosi all’uscita, invece di seguire il corridoio, s’inoltro in una stanza buia e da questa, andando a tentoni, andasse a finire in quella sopra descritta dove, incappato nella botola, si sentì mancare il terreno sotto i piedi precipitando dall’altezza di cinque o sei metri in quella che dovrà essere la tromba dell’ascensore.
La città venne letteralmente sommersa di telefonate, telegrammi di cordoglio, richieste di più precise notizie. Fra i primi a farsi sentire, Angelo Musco da Palermo, Luigi Pirandello da Roma. Musco telegrafò: -Oggi mattinata di San Giovanni Decollato, commedia di Nino Martoglio, il pubblico ride, io piango con voi- A caldo Pirandello scrisse: -Pensarlo morto tanto oscuro e freddo turbamento mi cagiona e tal dolore mi dà che non m’è possibile mettermi a scrivere di lui come vorrei.
Il 18 mattina, le strade apparvero tappezzate dal manifesto del sindaco Ardizzoni: –Cittadini, ho il doloroso compito di parteciparvi l’immatura fine di Nino Martoglio. Vittima di un tragico destino, il figlio diletto di questa città cessò di vivere ieri, mentre il suo cuore di padre palpitava per la salute del suo bambino. Nino Martoglio che la sua vita dedicò all’arte, ottenendo successi e trionfi, che amò Catania con l’affetto più intenso, illustrandone il nome con le sue opere, ben merita il compianto cittadino! Sulla sua tomba, la civica amministrazione si inchina riverente ed esprime il dolore dell’intera cittadinanza.
Ci furono poi i solenni funerali a cui parteciparono i catanesi al gran completo, le rappresentanze statali, comunali e provinciali con i rispettivi gonfaloni abbrunati, le scuole, i circoli di cultura, centinaia di estimatori venuti dai paesi etnei, da Palermo, da Roma e da Milano.
Ma è andata proprio in questo incredibile modo? Ci si cominciò a chiedere, passata l’onda di piena della commozione. La stanza ov’è ricoverato il bambino ha l’ingresso su un corridoio sufficientemente illuminato che porta all’uscita. Questa strada doveva necessariamente conoscere Nino, avendola fatta qualche ora prima per entrare in ospedale. E anche se egli non avesse saputo da quale parte uscire, sarebbe stato facile per lui rintracciare il corridoio illuminato fino all’uscita. Chi glielo portava nelle stanze buie fuori mano? Come e perché doveva aprire porte sconosciute a tentoni fino ad arrivare alla botola della morte? Come mai il cadavere fu scoperto verso le ore dieci dell’indomani, e non alle ore sette quando cominciano a lavorare i muratori? Ad agitare ancor più le acque, il 28 dello stesso settembre il giornale #Epoca di Roma usciva con una corrispondenza da Catania dal titolo: Nino Martoglio morto per isbaglio?
Gli accertamenti sul luogo, sulla posizione del cadavere, sulle ferite constatate al capo dell’illustre poeta hanno hanno dovuto convincere l’Autorità giudiziaria che la morte del Martoglio si deve tutt’altro che ad una disgrazia accidentale. Nino martoglio è stato per isbaglio assassinato essendo il colpo diretto ad altri, probabilmente ad un dirigente dello stesso ospedale Vittorio Emanuele. Visto uscire il Martoglio, che per mala ventura aveva lo stesso personaggio e vestiva di bianco come la vittima designata, l’assassino lo affrontò e di sorpresa lo colpì alla testa con una sbarra di ferro di cui era armato. Il colpo fu così fortemente assestato da far cadere stordito se non morto il disgraziato Nino, il quale fu poi trasportato di peso e buttato nella botola dove poi l’indomani venne ritrovato. In seguito, si parlò di una combriccola di malviventi che bazzicavano l’ospedale, e pare che uno di questi, avendo deciso di sopprimere un compagno per ragioni di interessi, si sia appostato quella sera in un angolo del corridoio e abbia colpito alle spalle Nino credendolo la vittima designata.
Si penso pure che, tutto sommato, l’autore di Centona poteva essere considerato un personaggio scomodo, e qualche nemico, fra gli arroganti, gli arrivisti e i disonesti, poteva averlo. Da spericolato duellatore, metteva in luce fatti e misfatti, segreti d’alcova, amori leciti ed illeciti, con gran scandalo e sgomento di impermaliti papà e maneschi mariti.
Egli stesso, del resto, parlando al suo giornale, recita: ma piaciri quantu nn’haju avutu ccu ‘sta tanticchia di carta stampata! Nnimici, è veru, ca n’avemu tanti o giurnaleddu miu, ma ‘un ci fa nenti, ci sunnu ‘ntra lu munnu li birbanti, li nvidiusi, ccu li mali genti; e tutti chisti ccà, naturalmenti, chisti, ca nni vulissiru pircanti, quannu ci ammatti azziccanu li denti!
Siamo certi che qualcuno di questi birbanti non abbia azziccatu li denti?“
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