Storie di Mascalucia - Gennaio 27, 2017

Storie di Mascalucia : Vacci liscìu. Storie di “carte” quando la DC a Mascalucia si chiamava “a sucità”

Zio Antonio e zia Carmela erano due persone veramente speciali,simpatiche e gradevoli.Non si poteva non volergli bene perché ti sorridevano sempre e sui loro visi c’era stampata quell’onesta genuinità delle brave persone di una volta, quelle di cui si è perso lo stampo.Si erano sposati in tarda età e proprio per questo motivo, Dio non […]
Di Giuseppe Reina

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Zio Antonio e zia Carmela erano due persone veramente speciali,simpatiche e gradevoli.Non si poteva non volergli bene perché ti sorridevano sempre e sui loro visi c’era stampata quell’onesta genuinità delle brave persone di una volta, quelle di cui si è perso lo stampo.Si erano sposati in tarda età e proprio per questo motivo, Dio non gli aveva fatto “dono” di figli.

Si capiva che ciò era un loro cruccio. Enorme.

Questo naturale bisogno di offrire affetto ed amore che non trovava sbocchi all’interno del nucleo familiare, lo riversavano sui nipoti.
Ecco, uno di questi nipoti ERO, anzi sono IO.Ed ero l’oggetto spasmodico delle loro affettuosissime attenzioni. Ricambiate,ovviamente.
Entrambi avevano un hobby al quale dedicavano gran parte della loro giornata: il gioco delle carte, quelle siciliane ovviamente.

La Zia Carmela ogni sera veniva a giocare a carte dalla nonna Rosa, anch’essa acerrima e strenua combattente della “scopa”.  Dato che la zia Carmela non sapeva scrivere, la nonna Rosa raccontava sempre che era lei a scrivere le lettere d’amore al suo fidanzatino Antonio, sotto dettatura.

La nonna e la zia erano anime “gemelle”, profondamente diverse ma unite in una solo unica passione : il gioco delle carte.

Uscivano la “tavola” da gioco, una vecchia “lapazza” riverniciata per l’occasione , la appoggiavano sulle gambe e iniziava la guerra psicologica.

La zia Carmela non ci stava a perdere, si arrabbiava, sbuffava, talvolta buttava le carte per aria imprecando alla malasorte.La nonna era invece una “muzzicavisula”, godeva nel vederla arrabbiata, vinceva quasi sempre e se non vinceva con un sorriso a metà tra il sornione ed il sarcastico diceva a Carmela che era stata solo fortunata, procurandole una rabbia ancora piu’ furiosa. Ed allora la goduria era maggiore della scontata vittoria.

Iniziavano a giocare a carte, alle cinque del pomeriggio per finire immancabilmente alle otto di sera, l’ora in cui si doveva preparare per la frugale cena delle otto e mezza e poi mettersi davanti alla Tv perché appena finisce Carosello,  “c’è quel bel film che mi piace tanto”, diceva la Zia.

Ed il sabato sera c’èra Sylvie Vartan, Don Lurio, Pippo Baudo e Paolo Panelli.

-No, Panelli non mi piace, è “lisciu”, ribadiva la nonna.

Ad un certo punto della sera , prima delle consuete otto, arrivava lo zio Antonio e con fare divertito diceva alla zia: “Cammela , amuninni a casa o tu ci mori supra ssi catti”.

Non era un rimprovero, ma un segno di affetto, di amore viscerale. Lo Zio era così, innamoratissimo della sua Carmela. Lei era l’unica sua ragione di vita.

La Zia Carmela sorrideva al suo bell’Antonio, poi mi guardava con quei suoi occhioni pieni di bontà ed io piccolissimo con i pantaloncini corti li osservavo entrambi con occhi estasiati come se fossero i miei eroi.

Poi si alzava e diceva a mia madre : “Maria, dumani a matina ti mannu Antoniu.

Fammi attruvari su “pudditru” prontu e mu manni ca ci fazzu a pasta o funnu”.

Ecco il “pudditru”, il giovane puledro ero io e di contro la Zia Carmela era la personificazione del mio ideale di  “pasta al forno”.

Quanta poesia antica nel chiamare un ragazzino, pudditru, puledrino che scalpita, che si affaccia alla vita ed al mondo.

Cose da zia Carmela.
La Zia Carmela e lo zio Antonio non erano giocatori d’azzardo, niente Poker e niente zicchinetta, solo briscola,scopa,tressette ed al massimo, una

bella  tombola ma rigorosamente a Natale.

In particolare lo Zio Antonio era inconfutabilmente riconosciuto come il NUMERO UNO della briscola. Ora, non vorrei essere tacciato di esagerazione, ma quando lui mi portava con sé “‘nta sucità” che corrispondeva alla locale sezione della ex-Democrazia Cristiana (dove tutto si faceva,fuorchè politica!),io imberbe ragazzetto di 5 anni in pantaloncini corti, assistevo a scene di assoluta riverenza e devozione, quasi come se il PAPA si fosse presentato a sorpresa ad un raduno di MISCREDENTI.
Eppure lo Zio non era affatto un politico o una persona famosa.

Tutti gli riconoscevamo questa grandissima abilità in “quel” gioco: la briscola- Lui era semplicemente il MIGLIORE, the BEST.

C’era chi gli offriva la sedia, chi il giornale, chi un caffè. Qualcuno arrivava anche a “baciargli le mani” alla siciliana, in segno di stima e di riconoscimento al merito. Da fuori, avrebbero potuto scambiarlo per il boss locale, ma in effetti non ne aveva né l’aspetto, né i modi.

Era magrissimo, con una faccia lunga, i capelli bianchi dritti sulla testa e qualche neo grande sul viso. Ma al tavolo di briscola, era terribile ed irresistibile. Si faceva quasi a botte per poter fare “coppia” con lui. Significava vincita sicura. Aveva un metodo tutto “suo”, un sistema di cui era gelosissimo ed una maniera di “bluffare” e ridicolizzare gli avversari, contenuta nei “modi”, ma straripante nelle sua goliardìa.

La fraseologìa,le movenze ed i tic del gioco della briscola, venivano da lui esaltati in una sorta di commedia dialettale in cui l’attore protagonista (LUI) recitava la sua parte di capocomico ed i comprimari (GLI ALTRI) gli facevano da spalla. L’asso di bastoni era ” ‘a faviana” proprio per la sua raffigurazione simile ad una fava, mentre l’asso d’oro era ” ‘a soru” oppure ” ‘a padedda” ! “Vacci liscìu..” sentenziava lo zio al compagno. Era l’indicazione a giocare una carta senza punto, inefficace. “Mettici ‘u so’ ” significava corrispondere con l’asso dello stesso seme della prima giocata di mano. “Unni si…?” domandava. ” ‘ A giaddino”,la risposta. Era l’indicazione che il compagno non aveva né briscole, né carichi.

I cenni d’intesa erano esilaranti. Per far capire al compagno le carte che si avevano in mano, specie quelle di maggior punteggio, ci si guardava fissi in viso quasi come due cowboy all’ultimo duello ed aspettando che l’avversario fosse disattento per un centesimo di secondo, si “strizzava l’occhio” per intendere che si possedeva l’asso di briscola in mano, si “arricciava il naso” per il tre di briscola, si alzava la spalla destra per il re . E così via… !

Puro spasso poi, il recupero delle “partite impossibili”. Quando la “prima mano” è 99 a 21 per l’avversario è dura, ostica da recuperare.
Butti le carte, dai forfait. In pratica, hai una possibilità su un milione, a meno che tu non ti chiami “Zio” Antonio Rapicavoli.

Se sai sfruttare ogni singola mano al meglio, hai la fortuna degli audaci e riesci a “leggere” le carte degli avversari, allora nulla è impossibile. Si vince anche quelle, provocando l’arrabbiatura ed il travaso di bile dei malcapitati i quali si accusavano a vicenda di essere…inetti.

Lo Zio, con la sua notoria ed imperturbabile flemma, non faceva altro che raccogliere le carte, ritirare la vincita, alzarsi e salutare. In cuor suo, penso che godesse da “matti” !!

La zia Carmela, santa donna, morì per infarto in una bella giornata di inizio primavera. Sul letto di morte sembrava quasi arrabbiata, forse stava giocando già a carte con la nonna Rosa ed aveva uno strano colorito rosso vicino le labbra. Io ho sempre pensato che fosse il ragù della pasta al forno e che la Zia non aveva avuto nemmeno il tempo di afferrare un tovagliolo.

Lo zio Antonio mori pochi mesi dopo, stroncato da un altro infarto anche lui.

Io invece penso che SIA morto di crepacuore.

Senza la sua adoratissima Carmela, la sua vita era niente. Ricordo che lo vedevo tristissimo a fare parole crociate, che non mi rideva più’, che non giocava più a carte. Che dormiva in un lettino con la faccia rivolta verso il muro e mentre dormiva, un dito si muoveva verso la parte bianca , quasi a disegnare dei semicerchi.

Sembravano quasi delle grandi C.

C come Carmela.

Ad un tratto, inizio’ a non mangiare piu’ ed a bere pochissimo. Una sola, grande tristezza infinita nei suoi occhi.

Aveva gia’ scelto di raggiungerla.
Mi piace immaginarlo lassù, seduto ad un tavolo. A giocare l’ultima briscola. E poi ancora UNA. E poi un’altra. All’infinito.
“Vacci liscìu..”,caro Zio.

E tu, Zia Carmela, è pronta “ssa pasta o funnu”?

 

Autore: Giuseppe Reina

(Terzo posto ex-aequo al concorso letterario di Mascalucia del 13/04/2019)

 

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