Approfondimenti - Aprile 9, 2021

23 maggio 1980, Radio Vaticana intervista Padre Giuseppe Padalino

L'intervista datata 1980 a Padre Giuseppe Padalino, allora rettore del Santuario Madonna della Sciara
Di Francesca Calí

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Rettore del Santuario Madonna della Sciara in Mompileri dal 1955 al 1997, padre Giuseppe Padalino, rilascia un’intervista sulla Radio Vaticana il 23/05/1980, segno che la fama di questi luoghi fosse arrivata fin alla Santa Sede. L’intervista venne rilasciata in occasione della pubblicazione della sua raccolta di poesie “Sciàmmuru”, in cui il sacerdote esprime in versi la religiosità ispirata dai luoghi in cui vive alle pendici dell’Etna. Un’intervista profonda, a tratti incomprensibile ai comuni mortali come se le parole fossero dettate da un essere superiore. Tutta la sua vita era una visione poetica.

Nella prefazione al libro, Padre Antonio Corsaro scriverà: ” Il poeta-sacerdote sente le anime. Ecco, il sentire è un dato centrale della sua poesia. Qui Dio è un termine d’amore risolto in azione, un Essere che sarebbe assolutamente inconoscibile senza la mediazione di colui che ha sentito nel Corpo l’umanità: il Cristo. Il Signore invocato dal poeta è sempre Cristo, il Cristo che se tace e si allontana provoca irreparabile solitudine e sgomento, ma se parla, se si fa sentire, riporta una tale gioia festosa da far rifiorire l’arso deserto del cuore e della lava”. Ed ancora: “Padalino ha uno stile inconfondibile. Uno stile che può apparire sconcertante, ma è quello di chi si interroga con sofferta lentezza e vuole rispondere con parole ispirate. E’ lo stile di uno che non riesce a dar requie alle parole e le tormenta, le piega ai limiti del dialetto (Gesù parlava in aramaico, Padalino parla in siciliano), le deforma e le umilia fino a costringerle violentemente a rivelare il mistero transustanziativo che certamente (a una mente fideistica) nascondono”.

L’intervista venne fatta da Padre Giovanni Giorgianni S.J., direttore dei programmi italiani di Radio Vaticana nella rubrica AUTORI AL MICROFONO:

-Abbiamo come nostro ospite don Giuseppe Padalino, un forte poeta siciliano che ha dato già la misura delle sue doti in diversi volumi di bellissime liriche. L’ultimo, dal titolo caratteristico <<SCIA’MMURU>> , evocante rudi paesaggi etnei, sta per vedere la luce con la presentazione di Antonio Corsaro. Caro don Giuseppe, la lettura delle tue poesie per me è stato un particolare godimento, forse perché ricca di rumori comuni alla nostra origine e alla nostra formazione. Allora ne vogliamo parlare un po’? Come è nata la tua poesia?

-No, non è nata da una scelta tematica: è nata da certi interessi, che costituiscono la mia visione del mondo, i quali mi fanno reattivo a certe provocazioni, che mi raggiungono dalla realtà, nella quale sono inchiavardato e che costituisce poi il paesaggio della mia anima, nel quale io vivo e che emana confuse parole e fonémi, che esigono da me forma, ritmo e discorso. Per questo io mi avventuro per andare a coglierle alla radice, alla sorgente, così come escono, queste parole, ingenue e libere dalla bocca dei contadini della mia parrocchia, dei pellegrini al Santuario della Madonna della Sciara. Ed io ho mandato di dare il sapore della loro origine e così mi assesto al lavoro di aggiustaggio, da artigiano della parola, in maniera che il timbro originario si senta al colpo della nocca e il lettore esperto oda il limpido suono siciliano.

-Cosa hai voluto dire con la tua poesia?

-Ho voluto esprimere quanto mi è stato imposto o suggerito dalle creature del passato, che io suscito a parlare; del presente, che fa violenza su di me; del futuro, che, vento leggero, percepisco prima che ingrandisca il suo flusso e sia storia nella logica del domani. Io sono uno che fa memoria, diventa conoscenza e speranza; mi dimensiono al passo della storia ed avanzo con la consapevolezza evolutiva del progetto di Dio, per quello che a me è dato di conoscere.

-Ma in fondo, perché tu senti questo bisogno di parlare, perché parli?

Ma vedi, è un’occupazione pessima che Dio mi ha dato, nella quale soffrire il tormento e la gioia dell’esistere, secondo il pensiero dell’Ecclesiaste; è una condanna, un fuoco entrato nelle mie ossa, come dice Geremia; un’obbligazione interiore, secondo gli Apostoli, per cui non posso non dire quello che ho visto, udito, sperimentato nella mia condizione di figlio d’uomo. Sono stato educato a far tutto con la parola. La mia parola racconta le meraviglie di Dio, le cose grandi che ha fatto a Maria di Nazareth sono, per mestiere, costretto a narrarle ai Pellegrini del Santuario. Quanto la fatica dell’uomo, dalle distese di frumento e dalle colline dell’uva, all’altare mi presenta io, che son partito dalla narrazione delle meraviglie del Signore agli uomini, accetto e finisco col narrare a Lui stesso, Dio Onnipotente ed eterno, quanto il suo figlio ha compiuto alla cena dell’ultima notte della sua vita d’uomo e gli dichiaro, giacché ne ho mandato per farlo, che il pane e nel vino , ne dirada la sostanza fino a riempirla di sé. Veramente io poieo Dio. Questa è la potenza della mia poesia di Sacerdote.

-E perché adesso questo ultimo volume lo chiami Sciàmmuru?

Vedi, quando la crosta si rassoda sottile, e il magma, che sotto scorre, sussulta, a brandelli si lacera il mantello di lava nelle eruzioni e a volte si incurva, lasciando sulla caotica distesa di sciara conche, come ciotole imploranti dal cielo un umore, un’acqua piovana, che plachi l’immane arsura del fuoco fatto pietra. E’ quanto il tormento della terra può offrire a ricevere il dono del cielo e l’acqua ridente riflette la luna, le stelle, il sole dall’alba al tramonto, le nubi, le meravigliose nubi, e il volo degli uccelli. Sciammuru chiama la gente dell’Etna queste conche, che sono oasi senza palmizi nel cammino sui campi di lava e vasi, accolti nei cortili e gli orti irrigati dall’amore a germinare i fiori insulani. Sciammuru è il nostro cuore atturbinato e placato dalla Grazia, scavato dal tormento che curva e modella la piatta resistenza della materia forgiata da Dio ad accoglierlo: siamo fatti sciammuru, perché piova dall’alto e ci plachi, annegandoci, la Grazia dei figli di Dio, diventata sorgente di acqua viva, che sale in vita eterna. Per questo possiamo adunare umiliato, aspettando che venga il Signore, il nostro cuore di pietra, che profumi la bellezza di tutti i colori e raccolga una terra che porti semi di tutte le piante e sia bosco e radice profonda quella, quella vita per cui vivere è Cristo e morire è un guadagno. Per questo lo intitolerò Sciammuru.

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