Studi e ricerche - Agosto 7, 2017
Mascalucia nel XIX secolo
Il censimento del 1817, a seguito del Real Decreto n° 122 dello stesso anno, attribuì a Mascalucia 2.506 abitanti, a Massannunziata 292. Il terremoto del 20 febbraio 1818 arrecò molti danni in paese, causando la morte di nove persone. Nel 1819, sotto il regno di Ferdinando I di Borbone, Mascalucia fu elevata a capo […]
Di Giulio Pappa

Il censimento del 1817, a seguito del Real Decreto n° 122 dello stesso anno, attribuì a Mascalucia 2.506 abitanti, a Massannunziata 292.
Il terremoto del 20 febbraio 1818 arrecò molti danni in paese, causando la morte di nove persone. Nel 1819, sotto il regno di Ferdinando I di Borbone, Mascalucia fu elevata a capo circondario e fu istituita una pretura, nella cui giurisdizione ricadevano i comuni di Trecastagni, Pedara, Belpasso, Gravina, San Pietro Clarenza, Nicolosi, San Giovanni La Punta, San Gregorio, Camporotondo, Sant’Agata li Battiati e Zafferana.
Quella scelta significò per Mascalucia il riconoscimento sia della sua centralità rispetto agli altri comuni, sia del proprio profondo livello di civiltà.
Nel 1837 un’epidemia di colera fece migliaia di vittime a Catania. A Mascalucia il morbo non attecchì, lasciando quasi indenne la popolazione (Sapienza Pesce, 1998).
L’anno successivo fu il vaiolo a mietere vittime a Catania. Il contagio arrivò anche a Mascalucia, e pur infettando moltissime persone, pochi furono i decessi.
L’epidemia fu descritta dal mascaluciese Vito Pappalardo nell’opera Storia della epidemia vaiolosa apparsa in Mascalucia nel 1839 e 1840 (1841). Ne riportiamo alcuni passi: “…furono contagiati dal vaiuolo arabo coloro che non lo avevano sofferto precedentemente ed i non vaccinati, indifferentemente dal sesso, l’età, il temperamento e la condizione sociale. I vaccinati da recente e quelli che lo erano stati da meno di dieci anni restarono immuni dalla epidemia vaiolosa…”.
Nel 1838, Ferdinando II, in seguito alla fallita insurrezione di Catania, cui partecipò anche molta gente di Mascalucia, per punizione, elevò Acireale a capoluogo di “Sottointendenza”, e innalzò Trecastagni a capoluogo di circondario autonomo, dove fu anche costituita la pretura. Molti comuni che prima ricadevano sotto la giurisdizione di Mascalucia, passarono così sotto l’egida di Trecastagni.
Il provvedimento fu motivato “per la reale soddisfazione per la fedeltà e l’attaccamento” dimostrati da Acireale e dai comuni vicini (Trecastagni), durante la sommossa di Catania del 1837 (La Piana, 1994). Mascalucia fu dunque punita per aver cospirato contro i Borboni.
L’inizio del diciannovesimo secolo, in Sicilia, si presentò come un crogiuolo d’ideali costituzionali e istanze indipendentistiche.
Mascalucia, già dai primi anni del secolo era divenuta una sorta di “laboratorio rivoluzionario”. Nel 1812 fu abolito il regime feudale; nello stesso periodo era emanata la costituzione ferdinandea, che sanciva la separazione fra i poteri dello stato (Ortoleva, 1988). La borghesia, gli artigiani e contadini di Mascalucia, si sentivano partecipi del fermento rivoluzionario proveniente da Catania.
Nel 1821 tutto ciò sfociò in un’associazione segreta di carbonari chiamata: “Vendita degli Umbri Liberali”. Nel 1837 i carbonari mascaluciesi cooperarono attivamente all’insurrezione di Catania; sul campanile della Chiesa Madre fu issata la bandiera della libertà e in chiesa s’intonò il “Te Deum” (La Piana, 1994).
Lo stendardo e il canto propiziatorio simboleggiavano il desiderio di libertà. Tale sentimento proveniva non solo da cerchie ristrette di mascaluciesi, ma da tutta la collettività.
L’insurrezione catanese fallì e molti mascaluciesi furono condannati. Ma questo sentimento, misto di fame di terra, d’ansia di libertà e di protesta anarchica, non morì. A Mascalucia esisteva un teatro, unico nella zona, dove si rappresentavano spettacoli di contenuto politico e dai toni patriottici.
Nel 1840, il piccolo comune di Massannunziata fu annesso a Mascalucia, divenendo la sua prima e unica frazione; l’anno dopo furono soppressi i diritti e gli abusi feudali e si diede corso alla liquidazione degli usi civici (Sapienza Pesce, 1998).
I moti del 1848-49 videro Mascalucia in prima linea; molti giovani si arruolarono nelle fila dell’esercito siciliano, alcuni morirono, come Matteo Consoli, altri, come il Barone Gaspare Rapisardi, furono deportati all’isola di Favignana. Dopo il fallimento dei moti, la polizia borbonica, comandata da Saverio Del Carretto, si distinse per la ferocia della repressione.
La Farina in Storia della Rivoluzione Siciliana del 1848-49 (1860), così narra quei fatti, parlando di alcune truppe di rivoltosi: “Traversarono Belpasso, Camporotondo ed alle sei di sera arrivarono a Mascalucia….da per tutto silenzio e tenebra…vedevansi per terra cadaveri di campagnoli e di soldati nemici. Era evidente che i Croati di Ferdinando II erano passati per quei luoghi…”. Nel 1860, in seguito allo sbarco di Garibaldi a Marsala, focolai di rivolta si accesero in tutta l’isola.
A Mascalucia partì un comitato rivoluzionario e molte case private furono trasformate in arsenali; ancora una volta sul campanile della Chiesa Madre fu issata la bandiera tricolore della rivoluzione.
Il dottor Antonino Somma nel 1863 scriveva: “In quel comune (Mascalucia) sorgeva nel 1860 il comitato centrale insurrezionale, misto di catanesi e di paesani, ed ivi convenivano i volontari armati di tutta la provincia, onde correre in aiuto di Catania, che gemeva sotto gli sgherri del Borbone; e da lì partiva la spedizione del 31 maggio 1860 comandata da Poulet, Caudullo, e Susanna, che fece prova d’inaudito valore, attaccando la truppa borbonica stanzionata in Catania sotto il comando del generale Clary”.
I gruppi rivoluzionari si raggrupparono quindi a Mascalucia, da dove sotto il comando del generale Poulet si spostarono verso Catania. Giunti in città, per la frenesia di combattere, non attesero l’arrivo delle altre squadre alleate; furono così sgominati dalle truppe regie.
I Borboni si preparavano a giungere a Mascalucia, quartier generale della spedizione. Il generale Clary aveva in animo di radere al suolo il paese, colpevole di aver fornito aiuto ai rivoltosi, e l’avrebbe fatto se non gli fosse giunto l’ordine improrogabile di spostarsi a Messina, per tentare l’ultima difesa all’isola (Somma, 1863).
La definitiva disfatta dei Borboni non permise la vendetta di Clary contro Mascalucia.
di Gabriele Grimaldi
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