Storie di Mascalucia - Aprile 30, 2019
Storie di Mascalucia : A Za Iana : Racconto di un incontro di mezza primavera.
Qualche giorno fa io e Pippo siamo andati a trovare la zia Iana.Iana, con la i, non con la j. Non chiedetemi perché zia, non siamo parenti, ma a Mascalucia siamo tutti ‘zzu e ”zza, superati gli ottanta.Quando andavo al ginnasio ci sono passata mille volte da casa sua. Ho parecchi ricordi della via Carbonaro: […]
Di Regina Betti

Qualche giorno fa io e Pippo siamo andati a trovare la zia Iana.
Iana, con la i, non con la j. Non chiedetemi perché zia, non siamo parenti, ma a Mascalucia siamo tutti ‘zzu e ”zza, superati gli ottanta.
Quando andavo al ginnasio ci sono passata mille volte da casa sua. Ho parecchi ricordi della via Carbonaro: i primi baci ad una ragazza, le prime sigarette, calie, i miei muri imbrattati, i miei incontri segreti con la mia prof di italiano al ginnasio – quando le diedi la bozza della mia tesina, sull’ultimo foglio mi scrisse “Ti ricordi di quel giovedì quando ci siamo incontrate in quel vicolo stretto? ” – . Torno indietro nel tempo, in un periodo della mia vita in cui serve solo andare avanti.
Zia Iana non ha un citofono, la cosa ci sconvolge per due minuti.
Ci diciamo ” e ora comu a chiamamu?”.
Poi ricorriamo alla voce, Pippo la chiama, facendo uscire tutto il mascalucioto che c’è in lui.
Ci apre, è molto perplessa su di me perché non mi ha mai visto. Ci dice che si stava stendendo i robbi; lo vedo quel filo di ferro che attraversa tutto il suo piccolo cortile e che mi sfiora la testa. Passo la mano sul filo, mi ricordo di quando ci giocavo da mia nonna e categoricamente glielo sganciavo da un lato. Un cortile piccolo, pieno di gerani fioriti, una pianta per me inutile che non ho mai sopportato, un cortile “incimintatu”, cioè in attesa della pavimentazione.
Ci fa entrare, ci fa sedere. Mi dice che non sa parlare in italiano, le dico che pure io non lo so parlare.
Ci sono immagini, calendari, santini, foto di San Vito a tutti i banni, ovunque mi giro: se chiudo un occhio, con l’altro ne vedo un altro. Ma tra tutti quei frasciami di fede mascaluciota, mi incuriosisce una foto di lei che bacia suo marito, non smetto di staccare gli occhi da lì, perché capisco come sia morto suo marito.
Sebastiana continua a guardarmi con la coda dell’occhio: ho uno zaino da kamikaze e pantaloncini corti e maglietta sudata. Pippo le dice che ero andata a correre.
Le chiariamo le idee sulla nostra presenza, su questo attoppare senza preavviso.
Stiamo facendo una ricerca sul fatto dei cani durante la resistenza del ’43, stiamo parlando con chi ha testimonianza del fatto perché qui si crede che sia una leggenda.
Ce lo racconta. Le chiediamo anche più informazioni sui mastri di vara e qui è costretta a raccontarci di suo marito: Concetto Sciavazza. Prende una sua foto.
Concetto Sciavazza è il fratello di Carmela, quella che c’è sempre, quella che si gira Mascalucia giorno e notte a piedi. Due occhi azzurri decisi e tristi, sono identici e fanno impressione.
Continuo a guardare quel bacio che non ho preso in foto ma che sta appeso lì vicino.
Mi sono sempre chiesta come si riesca ad amarsi per sempre, soprattutto quando si diventa vecchi, come si ama una persona che in faccia ha le rughe, la pelle che pende, i capelli bianchi o la tigna. Sebastiana non perde occasione per dire “quant’era beddu Cuncettu”, se lo accarezza, lo bacia. Vorrei chiederle come ha fatto per tutto questo tempo, come fa a ritenere bello suo marito, anche se poi la malattia l’ha portato a perdere chili, fino a ridurlo uno scheletro coperto da un sottile strato di carne. Io e lei lo sappiamo che quel bacio è il bacio della morte e dell’illusione, che il suo Concetto l’ha baciata in un raro momento di lucidità, così quando mio nonno baciò per l’ultima volta mia nonna dopo una rituale passeggiata in macchina per calmarlo. Non la guarda mai quella foto, guarda sempre quella che tiene, prima che a Concetto diagnosticassero l’Alzhaimer.
La signora Iana, alla veneranda età di 89 anni, con quei pochi gesti, con quelle poche parole che mi rivolge, mi dà quel solito insegnamento da portare a casa: conservare i ricordi e crearne di nuovi.
Maria Regina Betti.
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