Studi e ricerche - Luglio 26, 2017
L’uva ed i vigneti della Parigi del Bosco
Quando si coltivavano i vigneti innumerevoli erano le qualità di uve, nei ricordi di don Vito di Crioli e di don Vito Muscateddu, ecco i loro nomi: Nerello, Minnella, Cararratto, Insolia, Carricante, Mastrumasi, Palummara, Virdisi, Terribile, Frauola, Vispara, Muscatedda, Mantella, Niuro Grosso, Granace, Bettina, Giustolisi, Salamanna, Varvu Russu. Ecco le contrade dove i contadini coltivavano […]
Di Giulio Pappa

Quando si coltivavano i vigneti innumerevoli erano le qualità di uve, nei ricordi di don Vito di Crioli e di don Vito Muscateddu, ecco i loro nomi:
Nerello, Minnella, Cararratto, Insolia, Carricante, Mastrumasi, Palummara, Virdisi, Terribile, Frauola, Vispara, Muscatedda, Mantella, Niuro Grosso, Granace, Bettina, Giustolisi, Salamanna, Varvu Russu.
Ecco le contrade dove i contadini coltivavano le vigne:
Vigne Nuove, Munti Ciravulu, Cisternazza, Scala Pisci, Pompeo Vecchio, Grotta del Gallo, Casa del Pecoraio, a Madonnina, Santa Spera, o Piru Praniu, Soccorso, Vigne Marine, Gonnella, Angolo dei Lupi, a Petra o Tronu, Porto maretti, Santa Maria, Trevioli, Stazzuni, Piano del Conte, a Bammina, a Testa Cursa, a Misericordia, a Pietati, u Parmentu che Corna, a Turri, Sant’Antuneddu, a Ficu Sarvaggia, Sant’Antoni, Santa Margherita, Chiana i Cani, Càvolu, Surviddi, Trinitati, Entrata Napoli, Spinna Cardiddi, Funnu Nuci, Pizzu Carammu, Pirreri, Scuverti, Ombra.
Mascalucia nel dopoguerra era un piccolo centro situato sulle falde dell’Etna, contava circa 3000 abitanti, un solo vigile urbano, Caruso Alfio, ed un solo netturbino, Borzì Concetto; tanto tanto artigianato, la gran parte degli abitanti erano contadini, coltivavano i vigneti ed i giardini di agrumi.
A Mascalucia non c’era un tratto di terreno che non era coltivato a vigneto e si raccoglieva tanta di quell’uva che produceva un’enorme quantità di vino di ottima qualità. Anche nei terreni più sciarosi dove la terra scarseggiava, i contadini non si scoraggiavano, bastava trovare un varco in mezzo alle pietre e vi piantavano una vite o una branca di ficodindia, un ramo di fico affinché quella terra producesse qualcosa, e sicuramente non restavano delusi, stante la fertilità della terra sciarosa.
Ricordo si iniziava nel mese di Dicembre con la potatura, ogni mattina alle prime luci dell’alba, quando la campana della Chiesa Madre suonava il Pater nostro (ore cinque del mattino) i contadini partivano per lavorare dirigendosi verso le varie contrade, portavano con loro u bummulu con l’acqua, un cicciddato di pane e come companatico olive o uva dure o un pezzo di tumazzu. Anche le donne dopo aver accudito i lavori di casa raggiungevano i rispettivi mariti per darle una mano d’aiuto nella raccolta dei sarmenti della potatura delle vite; nel primo pomeriggio le donne rincasavano per preparare la cena, i figli venivano accuditi o dalle sorelle più grandi o dalle nonne.
A quei tempi non vi erano asili nido e non esistevano le case di riposo per anziani, una società fondata sulla famiglia sana di valori e di ideali. Gli uomini rimanevano nei vigneti o nei giardini fino al tramonto del sole e le stelle apparivano nel cielo, solo in quel momento ritornavano a casa, stanchi dopo una giornata di duro lavoro, ma soddisfatti, avevano appena il tempo di cenare e via a letto, col pensiero rivolto a domani dove l’aspettava un’altra giornata di lavoro.
A Mascalucia, oggi, i vigneti sono rimasti pochi spezzoni e scarsamente coltivati, non ci sono più quei bravi contadini di una volta che, vista la loro bravura, sono stati chiamati per coltivare i vigneti nell’immensità dei cieli.
di Maria Grazia Sapienza Pesce
Estratto da:
SAPIENZA MARIA GRAZIA, BRUNO VITO, MASCALUCIA TRADIZIONI, CULTURA E “COMU U SANNU SENTIRI A CHISTU?” CATANIA, 2006.
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